Teatro

El Greco in Italia

El Greco in Italia

A Treviso la prima mostra imperniata sulle opere prodotte, nel lungo soggiorno italiano (1567 - 1577), dal grande pittore cretese.

Abuso di droghe, allucinazioni, strabismo, devianze mentali, persino una presunta omosessualità: per spiegare l'allucinata pittura di Dominikos Theotokópoulos detto El Greco, intrisa di una inverosimile gamma di colori freddi ed acidi, con figure deformate ed allungate a dismisura, si è tirato fuori di tutto. A dar adito a queste stravaganti supposizioni sono le opere della maturità del pittore nato a Candia, nell'isola di Creta, nel 1541; opere tutte prodotte nel lungo periodo spagnolo, a partire cioè dal 1577 e sino alla morte avvenuta a Toledo nel 1614, fondamentali capitoli al centro del suo universo artistico. Ma come e quando si sia formato quel suo peculiare e inconfondibile stile, è un quesito che ha una sola risposta, cioè l'Italia.

Prima venne la formazione di “madonnaro” post-bizantino, specializza nel dipingere icone nelle botteghe cretesi, imprese ben rodate e pronte a servire due diverse clientele: quella dei credenti ortodossi e quella dei fedeli cattolici, con due differenti esigenze raffigurative. Ma presto il giovane ed ambizioso pittore volle  raggiungere nel 1567 Venezia e l'Italia, per immergersi in un contesto culturale che l'attraeva in maniera irresistibile. «Aveva davanti due strade: quella dell'Oriente e quella dell'Occidente cristiano. Puntò sulla seconda e vinse», commenta Lionello Puppi, tra i maggiori studiosi di El Greco ed anima – insieme ad Andrea Brunello - della mostra che Treviso, presso la Casa dei Carraresi, gli dedica dal 24 ottobre 2015 al 10 aprile 2016 sotto il titolo di “El Greco in Italia – Metamorfosi di un genio”:  mostra che si è prefissata appunto come scopo quello di indagare a fondo il periodo italiano del giovane Theotokópoulos, arrivato in Italia ancora permeato di quello “stile cretese” che perpetuava nei secoli – ignorando scientemente l'evoluzione dell'arte europea - gli antichi stilemi bizantini.

Se ne affrancherà in brevissimo volgere di tempo: qualcosa della grande arte veneziana era sì giunto nella nativa isola, da secoli sicuro caposaldo della Serenissima in pieno Egeo, ma non vi è dubbio che solo la conoscenza diretta delle opere di Tiziano e del Veronese costituì per il giovane Dominikos un punto di arrivo, ed allo stesso tempo di partenza, della successiva evoluzione artistica. Fu però soprattutto la scoperta del linguaggio più nuovo e 'moderno' di Tintoretto, Palma il Giovane, Jacopo e Leandro da Bassano a produrre in lui un vero e proprio choc culturale. Nei dieci anni seguenti, Dominikos alternò poi ai soggiorni nella Laguna diversi viaggi per l'Italia, lavorando a lungo al Roma ospite della corte del cardinale Farnese; è in questo modo che scoprì le vibrazioni e gli eccessi del Manierismo, ed è così che i lavori di Giambologna, dei Carracci, Correggio, Michelangelo, e soprattutto del Parmigianino – con le sue figure stranamente allungate - divennero per lui fonte di ripensamento e di trasformazione del proprio linguaggio.

Nel suo peregrinare lasciò qua e là anche tracce pittoriche che, grazie anche alla passione di Lionello Puppi, vengono man mano alla luce da luoghi inaspettati: non esistono dunque solo il celebre Altarolo di Modena (che da un lato è un emblema di dettati manieristici, dall'altro presenta un paesaggio ancora pienamente bizantineggiante), oppure La guarigione del cieco di Parma, il Salvatore benedicente di Reggio Emilia ed altre opere già ben note e studiate, ma anche altre preziose testimonianze, come il frammento di altarolo (con i Quattro evangelisti e un Cristo in gloria) del Museo di Bettona, o le quattro stupende tavolette (Lavanda dei piedi, Orazione nell'orto, Giudizio di Pilato e la Crocifissione) della Pinacoteca Nazionale di Ferrara. E spunta anche una piccola icona raffigurante San Demetrio, apparsa inaspettatamente ad una battuta d'asta, che nei braccioli del trono vede due cariatidi di gusto squisitamente occidentale a testimoniare già un primo fremito di rinnovamento del giovane pittore candiotto. Tutte opere che si possono ammirare nella mostra trevigiana, delineando e documentando in maniera completa questa sua prima e fondamentale fase creativa, insieme ad altre interessanti testimonianze, artistiche e documentarie. Nutrito il catalogo dei lavori esposti: trenta le opere di El Greco qui riunite, compresi alcuni bei ritratti del periodo romano e qualche testimonianza della maturità, poste a fianco di altre di maestri della sua epoca quali Tiziano, Parmigianino, Veronese, i Bassano, talora fonte di ispirazione diretta. Meno riuscito, ma peraltro marginale, l'accostamento con tre opere di artisti contemporanei come Picasso (Le domoiselles d'Avignon)  e Bacon (due brutte Crocifissioni), influenzati in maniere diverse dalla originalissima personalità di El Greco.